Descrizione Progetto

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Tra musica popolare e canzone d’autore

Questo CD è il risultato di un’ incursione che il Gruppo D’Altrocanto ha intrapreso da qualche anno nell’universo pressoché infinito della canzone d’autore. Come si può immaginare dal titolo che abbiamo dato a questo lavoro, non si è trattato di una pesca a casaccio, ma di una lunga e a volte tormentata riscoperta di canti che, a nostro avviso, si caratterizzano per una forte ispirazione popolare, sia nell’impianto musicale sia soprattutto nei testi, intrisi di immagini simboliche riprese da narrazioni popolari così cariche di miti da potersi ritenere inscritte nell’inconscio collettivo.
Si pensi anzitutto al mito dell’eroe, dell’impresa eroica: a volte predomina lo slancio vitale e l’esaltazione di gruppo – l’inno dei garibaldini Camicia rossa si apre con la risposta senza indugio all’appello del super-eroe dei due mondi – ma vi è un lungo filone narrativo in cui l’atto eroico ha un finale tragico, come nel caso dell’anarchico vendicatore Sante Caserio, oppure vi è un ribaltamento per cui il protagonista è l’anti-eroe, l’uomo normalissimo che per caso si trova a combattere in trincea e lì morirà, come in Dal fronte non è più tornato di Vysotskij, o per caso si trova a lavorare nella sala-macchine del Titanic, variazione in tempo di pace con un finale simile da parte di un ispirato De Gregori.
Anche la predicazione di Francesco viene narrata da Branduardi come un incedere eroico tra prove insidiose: la più temibile è senza dubbio il dover fronteggiare la Venere tentatrice, con un esito scontato poiché la Fede, com’è noto, sconfigge, converte e ovviamente trionfa. A proposito di Venere tentatrice, non potevamo trascurare Bocca di Rosa, con lo sconvolgimento che provoca a Sant’Ilario e dintorni, con la lotta tra bene e male che De André trasforma magistralmente in lotta tra il mortifero moralismo di paese e la passionalità libera di Bocca di Rosa, che sfugge all’invidia delle comari e alla loro ricerca del capro espiatorio. Se ci pensiamo, è logico che la protagonista divenga alla fine del racconto un emblema da portare in processione, per ricordare a tutti che senza passioni non si può vivere e che con i desideri, di ogni ordine e grado, tutti quanti dobbiamo fare i conti.
Un altro “luogo letterario” molto presente sia nella tradizione popolare che nella canzone d’autore è l’amore, citato, trattato, evocato in modi spesso banali e ripetitivi, ma a volte con una forza poetica che colpisce ed emoziona. Per ragioni non del tutto spiegabili ci siamo “innamorati” di due brani messicani, peraltro molto conosciuti, che affrontano il nesso tra amore e morte, ma anche tra la dimensione fisica, immanente del legame d’amore e la sua traccia immateriale, che permane in una dimensione “altra” che si può chiamare anima. In Cuccurrucucu Paloma una colomba si è lasciata morire annichilita dal dolore per la perdita dell’amata. Dopo la sua morte una “paloma triste” ritornerà ogni mattina a cantare: essa “altro non è che la sua anima” che, in una dimensione senza tempo, continuerà a sperare. Nella Martiniana vi è un concetto simile, ma in positivo: se vuoi che io rimanga viva nel ricordo non piangere, ma “canta i suoni dell’anima”.
Spesso i poeti si sono mossi nel solco di radicate tradizioni popolari: è il caso di Cecco Angiolieri, goliarda che nel sonetto S’i’ fossi foco finge i panni del distruttore, ma in realtà propone una folgorante parodia, antica figlia della comicità toscana. De André nel 1968 l’ha ripresa trasformandola in un canto graffiante, anche se il linguaggio duecentesco è risultato forse un po’ ostico al grande pubblico. Un’operazione di riscoperta simile è stata compiuta recentemente da Mauro Pagani con Quantas sabedes, un inno all’amicizia di rara bellezza, scritto nel XIII secolo da un giullare galiziano di nome Martim Codax.
Bisogna dire, però, che l’attenzione di Fabrizio verso le tradizioni popolari si rende evidente sin dai suoi primissimi lavori: in Dai monti della Savoia – che probabilmente ha scritto attorno ai 18 anni – ci sembra molto forte il riferimento alla lirica trobadorica ed alla musica occitana.
Abbiamo voluto sottolineare la presenza un “filo rosso” tra De André e la cultura francese intrecciando la nostra esecuzione con l’aria di Mon amant de Saint Jean, una canzone degli anni ’40 dalla spiccata connotazione nazional-popolare. Ci è sembrato bello includere, quasi alla fine del nostro racconto, un brano che non dovrebbe aver bisogno di presentazioni: Sfiorisci bel fiore, un sogno ad occhi aperti che compendia temi, echi, immagini tipici della poetica di Jannacci ma anche della poesia in senso lato: l’amore tra verità e finzione, la speranza e la delusione, l’intensità e la caducità della vita, la dignità degli ultimi, lo stupore per una linfa vitale che continua a scorrere nonostante tutto.
Un’ultima annotazione a proposito di Fa la nana, che presentiamo come “bonus track” che conclude il CD. Fa la nana è il nostro omaggio alla musica popolare “pura”, ovvero alla fonte di ispirazione principale del nostro gruppo. Grazie al paziente e sapiente mixaggio di Giovanni “Gianda” Bedetti possiamo riproporre questo brano che, durante il concerto al Teatro Sociale di Como del 24 marzo 2012, abbiamo eseguito assieme al coro diretto da Marco Belcastro (il coro univa le voci di “Macramé” e “La scatola dei cachi”, due ensemble nati nei laboratori musicali di due scuole superiori della città di Como). L’esecuzione di questo brano è stata per noi un momento intensissimo e carico di significati: vi è racchiusa la speranza di aver contribuito a infondere a ragazzi e ad insegnanti l’amore per un mondo popolare che resta vivo solo in quanto “suono dell’anima”.

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